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CASTA DI COMPARSE
Lettere notturne
Il tuo mondo è saltato in aria in una notte di morte schifosa. Sei scappata per salvarti la vita e non sei più tornata a casa. Trascorro notti insonni in ansia per te, con la testa che mi gira. Fai il turno di notte così non sei da sola. Sono abituato al freddo. Ti sei spinta così lontano da casa. E lungo il cammino la pena seguiva ad ogni passo. Sei intrappolata tra questa vita e quella che ti sei lasciata alle spalle. Lo so che ti brucia dentro come un sole che esplode. La tua mente torna sempre ad un luogo che non è così fottutamente freddo, in cui arde il fuoco della guerra. Riparti da zero, mandando i soldi a casa. Ti dai da fare più che puoi mentre la vita resta sospesa a mezz’aria. Vedo luci lontane all’orizzonte ma mi preoccupo per te. Stanno tutti pagando il loro prezzo e tu non riesci a concentrarti. Il mondo ti schiaccia. Io finora sono stato fortunato. Ce ne stiamo qui seduti a telefonare al termine della notte. Finalmente dalla linea interurbana arriva una risposta. Notizie di minacciose lettere notturne. Pietre lanciate sulla staccionata. I tuoi cari derisi dagli assassini. Di’ loro che dovranno aspettare tre anni mentre tutto il loro mondo implode.
Casta di comparse
Quando alla fine scorreranno i titoli di coda di questa storia, la peggiore che sia mai stata raccontata, non affannarti a cercare il tuo nome o quello di qualcuno dei tuoi conoscenti. A meno che per caso non siano re pastori, parti verginali, risorti, principi messianici o altre bambinate come queste. Puoi scagliarti contro la sala di montaggio o cercare di bloccarne l’uscita in teatro, ma penso che possiamo tranquillamente garantire che il copione non verrà rivisto per venire incontro ad un(a) cast(a) di comparse. Perché la storia esalta solo la pornografia della forza – quella di assassini e psicopatici (gli altri sono cancellati in massa dal racconto e messi come sfondo) – mentre a noi mezze seghe ci spingono sul palco e poi via a calci in culo. Nessuna commovente calata di sipario per le masse. Nessun bouquet floreale. Nessun in bocca al lupo. Nessun ruolo ricorrente. Nessun controllo artistico. E così in questi giorni, in questa fase terminale, è lasciato tutto al caso. Un piccolo consiglio: anche se ti sbattono sul ghiaccio sottile puoi danzare. Fa’ ciò che senti di dover fare, per quanto mi riguarda non sono stato messo al mondo per sottomettere o servire.
Tertium Non Datur
Tutti i pollici succhiati e le sottane a cui aggrapparsi, coperte così sicure che li tengono alla larga dai riflettori che potrebbero liberarli dalle tenebre che li circondano. Dai demoni che li braccano cavando i loro occhi, finché non riescono a vedere che rigide dicotomie di sacro e di profano. Di salvezza o rimorso, con tutto il cazzo di resto in mezzo. L’impulso umano a spiegare è dirottato: un impatto in volo controllato sul terreno per star certi che nessun passeggero faccia mai nessuna connessione tra la proscrizione del mistero e il proprio malessere. Coppie ordinate di binari inversi. Tutti noi cerchiamo il senso della vita, ma quando si nega ogni ombra di dubbio la santificazione dell’odio prospera su ogni pollice succhiato, su ogni sottana a cui aggrapparsi, su ogni coperta così sicura che ci tiene alla larga dai riflettori che potrebbero liberarci dalle tenebre che ci circondano. Dai demoni che continuano a braccarci. Ci caviamo gli occhi e rimproveriamo i ciechi.
Caro Coach’s Corner
Caro Ron MacLean. Caro Coach’s Corner. Ti scrivo affinché qualcuno spieghi a mia nipote la differenza tra questi obbligatori riti collettivi di sottomissione pre-partita e i raduni di Norimberga. In particolare la funzione che il rituale svolge in relazione a quello che tutti sanno essere, in fin dei conti, solo un gioco da ragazzi. Faccio appello al tuo senso del fair play quando dico che è turbata dalla costante pressione a non disobbedire alla volontà collettiva e ai baveri dai nastri gialli, mentre i soldati si calano senza alcun motivo dalle travi dello stadio (il che, se non fosse così folle, sarebbe un buon motivo per scompisciarsi dalle risate). Caro Ron MacLean, non ti importunerei con queste domande se non avvertissi una certa affinità spirituale. Magari non saremo identici, ma non veniamo mica da due pianeti diversi: entrambi amiamo questo sport talmente tanto che quasi non riusciamo a tollerarlo. Sono nato ad Alberta e cresciuto a Prairie. Sembra che non ci sia una sola lastra di ghiaccio a nord di Fargo su cui io non abbia giocato. Da Penhold al Gatineau, ogni bel ricordo d’infanzia che possiedo è legato in qualche modo alla cultura di questo sport. Semplicemente non posso farne a meno. Ma suppongo che la questione sia decidere in che genere di mondo vuoi vivere, e se la diversità è disaccordo, e il disaccordo tradimento, beh non ti sorprendere se ci ritroviamo a mietere uno strano e amaro frutto che quel triste vecchio affianco a te continua a dare in pasto alla mente dei ragazzi spacciandolo per virtù. Per allevare un bambino ci vuole un villaggio ma basta una bandiera per demolire i bambini, finché non siano altro che zavorra necessaria per realizzare il sogno d’un pazzo di un paradiso in cui la complessità è ridotta a bianco e nero.Come posso proteggerla da questo culto della morte?
Questa è la tua vita
In realtà non sei furioso per l’Iran o per l’Afghanistan. Sei furioso perché tua moglie non ti regge più. Non sai nemmeno dove sia. Stai sclerando nel tuo seminterrato. Schiacci i tasti del telecomando. Sputi insulti al teleschermo perché domani tornerai al lavoro, dove non sopporti di essere una nullità. Per quanto strisci non riesci a farti strada. Le tue barzellette non fanno ridere più nessuno. Sei troppo cinico e meschino, perciò si sono rotti le palle. I tuoi figli sono al centro commerciale. Se ne stanno seduti a fissare le pareti. Tu pensi di dire le cose come stanno. Dici che non sopporti i cuori infranti, ma ogni santo giorno te ne stai lì seduto affranto a far la lagna. Guaisci e piagnucoli con la tua voce da uomo. Questa è la tua vita. Tu lo fai a te stesso. Libera la tua mente da questo peso. Va’ fuori nel mondo. Vedrai che probabilmente sopravviverai. Questa è la tua vita.
Carne umana (Lo scuoiamento di Sandor Katz)
“Giuro che ho fatto del mio meglio per far sì che i suoi ultimi istanti fossero rapidi e indolori. Ma bisogna tenere conto del fatto che Sandor Katz è stato il primo che ho ucciso, perciò confido che il lettore comprenderà che, mentre le sue grida possono esser parse delle lucide obiezioni, esse in realtà non erano che una richiesta di onorare la sua forza e la sua velocità! Con gratitudine e dolcezza ho rasato ogni singolo pelo dal suo corpo, ho gentilmente collocato la sua testa decapitata in una casseruola, ho bollito la sua carne e ne ho fatto una galantina spalmabile! Credo infatti che il solo modo per relazionarsi con un’altra creatura vivente sia distruggerla completamente! Sono certo che gli amici e i parenti di Sandor lo apprezzeranno!”
(uhm) Un ragionamento così idiota che stenti a crederci. Post-vegetariano, devo fartelo notare – con rispetto – sta’ attento al mondo che desideri. Un bel giorno potrebbe bussare alla tua porta.
“Fammi entrare! FAMMI ENTRARE CAZZO! Voglio solo ‘relazionarmi pienamente’. Giuro che farò del mio meglio per far sì che i tuoi ultimi istanti siano rapidi e indolori!”
I confini di Potemkin
Francis se ne sbatte della riduzione dei prezzi, della sovrapproduzione, della contrazione della domanda. Non si è mai curato molto dei contratti contestati. Nella sua breve vita ha conosciuto solo il panico, la paura, il dolore, il buio e la follia (nell’inferno che era la sua casa). Le attese di rendimento del quarto trimestre accelerarono il suo decesso. Il panico aumentò quando gli umani si misero a inseguirli. Quando le urla ebbero inizio, Francis chiuse gli occhi e sentì la mano della disumanità che lo sfiorava. Ma il suo aspirante assassino si voltò per un istante, e un accecante raggio di luce rischiarò il pavimento. In una pozza color cremisi vide la sua immagine riflessa mentre se la svignava verso la porta. Non è la parodia di una favola, anche se vorrei che lo fosse. Questa è una favola fin troppo reale. Eppure, in qualche modo, ancora ci aggrappiamo alle storielle che colmano l’abisso tra quello che sappiamo e quello che vogliamo credere. Qualsiasi vecchia implausibile negazione che possa alleviare la dissonanza che Francis si è lasciato dietro gridando nel suo tragitto, mentre per poter fuggire si addentrava fin nel cuore del parco cittadino. E lì per 5 mesi corse libero, tornando sempre a quel suo unico ricordo felice: solo un caldo e lontano sogno dello sguardo amorevole di sua madre. Francis si spinse più lontano di quanto avesse fatto lei: a un quarto di miglio dai confini della città alla fine lo catturarono. C’è una statua che il mattatoio ha eretto per ricordarci tutti i loro contributi. Per me questo Francis fuso in bronzo segna i Confini di Potemkin. Non è la parodia di una favola, anche se vorrei che lo fosse. Questa è una favola fin troppo reale, eppure ancora ci aggrappiamo…
La marcia funebre
La marcia funebre è passata di qua oggi. E lungo il suo tragitto ha disseminato confusione e domande. È come se conoscessi il suo dolore – un guasto meccanico mentre sopportiamo la norma. Alcuni di noi si spezzano, altri semplicemente si deformano e perdono elasticità, smarrendo per sempre la forma di un tempo. Mi chiedo cosa sia peggio. Cerco di mantenere il mio contegno in mezzo alla pazzia, rassegnato alla verità che non vivrò abbastanza per vedere l’alba di un giorno migliore che possa lavare via la tristezza di questo tempo. Cerco di tenere a bada le voci che mi chiamano, aggrappandomi disperatamente ad ogni futile gesto di decenza umana. Le voci amano ricordami la mia futilità. Seduto sulle mani, con la speranza che chiunque tranne me faccia ciò che andrebbe fatto, è difficile non soccombere mentre chiamano il mio nome. Bisogna comunque andare avanti.
Senza amore
Tutto in natura finisce in tragedia e io sono stato il primo, alla fine, a svanire dai ricordi di mio nonno. Quanto passerà prima che anche io mi dimentichi di lui? Dissolvendosi nel grigio. Respirare è solo il ticchettio di un orologio che si scarica? Solo un conto alla rovescia del tempo che rimane prima di capire la vera importanza di ogni prezioso respiro che abbiamo sprecato? Ho fatto tutto ciò che ho potuto. Ho implorato l’universo di prendersi la mia vita anziché la sua. Ma non sono bastati il denaro, la droga o il pianto a trattenerla qui. Che scopo ha avuto la sua sofferenza? Respirare è solo il ticchettio di un orologio che si scarica? Solo un conto alla rovescia del tempo che rimane prima di capire la vera importanza di ogni prezioso respiro che abbiamo sprecato? Tutto questo strazio. Tutta questa indifferenza a tanta sofferenza, ed è facile essere tentati dagli appelli all’odio. Ma questo mondo non è niente di più di ciò che ne facciamo. La vendetta non è una soluzione per l’inevitabile dolore che tutti dobbiamo affrontare quando perdiamo gli spiriti che ci sono affini. La vita è così breve, così deludente, così incasinata. Quando Cronie se n’è andata l’ho stretta tra le braccia, e riuscivo solo a dire: “Ti prego non lasciarmi. Che faro senza di te?” Ma questa tristezza cosmica è qui solo per ricordarti che senza Amore, respirare è solo il ticchettio di…
Effetti incalcolabili
Eravamo tutti insieme sotto la pioggia battente. Giravano solventi per attenuare il dolore. L’aria era satura di quel lugubre lezzo. Il tanfo della tristezza e della disperazione. Menti fottute senza più rimedio. Lei disse che aveva appena compiuto sei anni. Conosce delle belle barzellette per essere una bambina. Lavora duro per evitare che una donna sanguini dai denti. La sua vita va avanti malgrado il fatto che sua madre dorme fottuta sul cemento. Lanciò uno sguardo, un’immagine impressa nella mia mente. Conosco fottutamente bene quella sensazione di sprofondare. La vergogna, la frustrazione che si impadroniscono di te. La confusione che ti divora dall’interno. “Non so cosa c’è di sbagliato in me. Non so perché non si sveglia”. La sua vita va avanti malgrado ciò. Sua madre giace fottuta sul cemento. È un brutto mondo del cazzo.
L'Amplesso Dei Metallari
Il giorno in cui arrivò The Equinox ebbe inizio il nostro pellegrinaggio: 1.200 miglia, un missile cruise sparato verso la nostra terra empia. Eravamo fottutamente euforici, come non ci capitava da quando eravamo degli adolescenti brufolosi e spelacchiati. Da ogni angolo del mondo arrivavano altri patiti come noi, a dimostrare che il significato dei versi non si era smarrito nelle nebbie del tempo, ma era sopravvissuto per lasciare questa firma monumentale. Dicono che non puoi rivivere il passato, ma quando le luci si abbassarono tornò tutto di colpo: mezza vita fa, di notte, per la prima volta in una vita solitaria, una giovane anima si librò in volo. Si scagliarono sul palco con una furia che spaccava, e noi tutti gridavamo: “Terminate!!!”. Una mezza testa in una maglia con balena venne e me lo alitò in faccia. Non m’importava. Non poteva rovinare questo stato rapsodico, trascendentale. Quando la musica si spense, i due capi del tempo erano stati allacciati per benino. Luci discendenti avevano bruciacchiato la pianura. I re erano tornati a reclamare discepoli perduti, rimasti per badare al fuoco. Scagliammo nelle strade un mucchio di trogloditi scatenati! Aspettammo il nostro bus, poi lo lanciammo a capofitto nella notte! Molto al di sotto della fredda, robotica rotazione del pallido chiarore verde del radarista. 20.000 leghe sotto. Verso il luogo dove vanno tutte le band migliori.
Ultime volontà & testamento
In questi pochi istanti che ci rimangono, cosa proponete di dire in nostra difesa? Che molte cose furono decise prima che noi tutti nascessimo? Che non eravamo nient’altro che osservatori obiettivi della follia, e di arrendersi alla tristezza? “Tanto non abbiamo il potere di cambiare niente”. Perciò sdraiatevi sul vostro letto di morte e fissate come degli idioti la catena di comando da cui riceviamo i nostri ordini. Suppongo che sia solo senso comune predicare quello che dovrebbe essere ma assicurarsi che non sia mai al presente.